Alla stazione di Pontedera trotterello allegramente fuori dal sottopassaggio. Davanti all’ingresso della locale sede Piaggio una coppia di persone (sindacalisti forse) distribuisce volantini. Era da tanto tempo che non osservavo una scena come questa; sorrido loro, chissà se, intenti come sono all’opera divulgatrice, fanno caso a me e alle mie labbra.
Ma sorridere è una pratica, afferma Thich Nhat Hanh.
Mi siedo su una colonnina e avvio il gps telefonico. Ovviamente il dispositivo -un miserabile S3 mini con android 4.1- non si aggancia ai satelliti.
Non riesce quasi mai al primo tentativo. Applico le varie operazioni di reset, pazientemente studiate e testate in notti insonni. Niente.
Sono le 6, la mia meta è altrove, molto lontana ancora. Inizio a correre.
Il cielo è denso di nubi, infocate qua e là dal sole sorgente. L’aria è tiepida e già leggermente afosa.
Passo accanto al cimitero.
I colori, il contrasto, la saturazione delle foto (pur nella mia inabilità col mezzo) rispecchiano i miei pensieri del momento.
Evidentemente spronato dalle anime morte (o meglio dai residui dei continua di coscienza…), proprio davanti all’austero portale, il telefono fissa il segnale gps. Posso avviare il navigatore (Osmand) con la traccia (PoMaC.5) preparata con cura.
Lascio la strada e salgo sugli argini lungo il fiume Era. Piacevole sorpresa: quando avevo effettuato la ricognizione in automobile, avevo erroneamente seguito una stradina parallela; invece il percorso rimane su sentieri erbosi lungo il fiume, fino a Ponsacco.
Incrocio qualche altro podista mattiniero, scambio qualche parola con una ragazza che si allena prima del lavoro (al contrario di me che piuttosto corro di notte).
A Ponsacco attraverso un ponticello e trovo una grande fontana; da tenere in considerazione per future edizioni.
Quando poi esco dall’abitato raggiungo una rotonda, al centro della quale si inarca un vermone (ma potrebbe essere uno spicchio di luna: ora so che tra un lombrico interplanetario e una falce lunare non c’è tanta differenza).
La strada sterrata prosegue come un nastro teso per qualche chilometro non particolarmente entusiasmante.
Bisogna colorarla con occhi della mente.
Le gambe si muovono bene, ma le percepisco un po’ pesanti, legnose, in contrasto col resto di me che invece sento leggero.
Bivio per Camugliano. Magari il teatro è simpatico, ma intorno troppe proibizioni. Ad ogni modo io proseguo diritto.
La strada poderale si restringe in sentiero serpeggiante fra i girasoli, ancora chini verso terra, in attesa che il dispensatore d’amata luce rivolga il suo volto di fiamme verso di loro.
Il percorso prosegue con deviazioni su altre strade poderali e sentieri; mi sospingo sulla provinciale, poi rientro fra tratturi e poderi.
Credo che i girasoli sian pronti a rialzare le dorate chiome i gialli petali perché il sole comincia a scaldare l’aria e io ho già ciucciato varie volte dal camel bag.
I piedi pulsano sulla terra e chilometri scorrono veloci; salgo una collinetta e sono di nuovo sulla provinciale, in basso sotto Collemontanino.
Collemontanino è un piccolo borgo aggrappato sulla collina, una via principale e intorno case vecchie e nuove a grappolo. La salita è ripida, in cima mi attende la petrarchesca Fontana:
“Chiare Fresce e Dolci Acque“, 20° chilometro del PoMaC.
Notare l’ombra del fotografante: sulla testa è chiaramente visibile una protuberanza; si tratta finalmente della desïata manifestazione dell’uṣṇīṣa?
Lo zainetto riposa in terra, col pannello solare ben esposto mentre ricarica il telefono.
Accortezza quasi inutile: sento scivolare una goccia sul braccio; non è sudore, inizia a piovere.
Mentre ero intento a bere il cielo s’è sveltamente avvolto in grigie nubi.
Ma la pioggia è leggerissima, rada, per nulla fastidiosa, anzi rinfrescante.
E certamente non può distogliermi dal succulento panino: