Collemontanino è alle mie spalle.
La sua strada centrale s’è arrampicata ancora un po’, poi ha lasciato il passo a una strada bianca, quasi un sentiero che, salendo per alcuni chilometri, si inoltra nel bosco sulle colline.
La pioggia si fa più fitta; il cielo sopra me è livido, la luminosità è quella d’una giornata autunnale poco prima del tramonto.
L’acqua scava e riempe solchi nel terreno.
Non posso non gioire per il bosco che certamente aveva sete, e ora, per qualche momento, può soddisfarla.
Bagnatevi spiriti e piante e animali, abbeveratevi!
Per me si avvicina il prossimo bivio: so che all’incrocio troverò un capanno di caccia, un buon rifugio nell’attesa che le nubi completino il loro ciclo scaricando quaggiù gli umori più densi.
Accanto al mio bastoncino un bordone ben tagliato e un polito osso.
Confido non sia il perone di un trailer che m’ha preceduto; mmh… no, troppo corto. Procedo.
All’interno poggio il bastoncino di traverso a un tavolaccio e sulle sporgenze lascio un poco asciugare maglia e altri pezzetti d’abbigliamento.
Porto con me una canottiera di ricambio e un antivento, ma -avendo sempre in mente le previsioni meteo che prevedevano pioggia nel pomeriggio- preferisco non farne uso così presto -potrebbero rivelarsi preziosi dopo- e li lascio nello zainetto. Mi guardo intorno: c’è un camino e anche qualche fascio di legna asciutta, ma nulla per innescare la fiamma.
La prossima volta portare un acciarino (ma saprò usarlo!?).
Comunque non sento freddo, anzi sto proprio bene.
Infatti la pioggia rallenta, il ticchettio sul tettuccio termina in un sussurro aritmico, le nubi strizzano le loro forme per lasciar passare il sole, di cui il sentiero bagnato riflette ora la luce.
Si riparte!
Questo tratto del percorso è caratterizzato dalle pale eoliche; una dopo l’altra, a distanza di qualche centinaio di metri, torreggianti in spiazzi disboscati connessi dalla strada forestale ed eventualmente da un breve tratto di sentiero che aggira ove occorre il poggetto d’installazione.
La pioggia caduta fino a qualche minuto fa e il caldo susseguente hanno generato fitta foschia o nebbia, che permea di sé i sentieri.
Ma confondersi è impossibile: la strada procede ampia e riconosco bene i bivi ancor prima che il navigatore mi offra indicazioni.
Anche la pala eolica gioca a nascondersi nella bruma, apparendo come fatamorgana di creature immaginarie; il grasso suono, dall’incedere lento e pesante, potrebbe illudere il viandante d’essere prossimo a un centro abitato, ma non è così, qui non v’è essere umano, a parte me. Mi tornano in mente le Macchine di The Matrix ↓
Ma è una sensazione che svanisce presto.
Mentre saltello verso Poggio del Tiglio la nebbia è dissolta, il sole è caldo, gli alberi gentilmente fanno ombra.
Lascio la strada forestale oltrepassando la sbarra.
La discesa è abbastanza ripida; la pioggia ha reso il fondo scivoloso, le pietre scheggiate affondano qua e là nel fango.
Comunque basta un po’ d’attenzione e si può correre senza difficoltà.
Anche perché al fondo di questo sentiero l’innesto su un’altra strada forestale preannuncia la prossima sosta.
Il silenzio del bosco è accompagnato dal dolce fluire della cascatella che la fontana crea non avendo rubinetto, disperdendosi nel grazioso orrido sottostante.
È il momento per un secondo panino; ma la temperatura elevata ne sta facendo guastare i succulenti ingredienti, aggiungendo un avangusto acido: confido nel mio stomaco-intestino minuto ma mitridatizzato da anni di muffe e marciumi vegetali.