La storia dell’ultimo pasto del Buddha, com’è raccontata nel Mahāparinibbāna-sutta, il sutta 16 del Digha Nikaya (da non confondere con il quasi omonimo Mahāparinirvāṇa Sūtra māhayāna) offre la visione di Gautama a Pāvā, nel boschetto di mango di Cunda il fabbro, mentre lo stesso Cunda offre un eccellente pasto, con diversi cibi fra cui un’ampia quantità di “sūkaramaddava“.
Prima di iniziare il pasto, Gautama si rivolge a Cunda: «Cunda, servi a me il sūkaramaddava che hai preparato e servi al resto dell’ordine monastico gli altri cibi».
Poi, verso il termine del pasto Gautama inizia a manifestare sintomi di malessere; la sua condizione in breve peggiora e dopo qualche giorno il Buddha morirà, o meglio, essendo egli pienamente risvegliato, illuminato, andato oltre (tutti epiteti tradizionali), entrerà nel parinirvāṇa, la completa cessazione delle rinascite, termine dell’esistenza nel mondo; non avendo trascurato di raccomandare che l’avanzo del sūkaramaddava venisse interrato e non mangiato, e che tuttavia Cunda non fosse in alcun modo biasimato per il cibo che aveva offerto, anzi, egli aveva fornito l’ultimo pasto al Buddha!
Cosa effettivamente abbia mangiato Gautama non è chiaro; le tradizioni scritturali variano e la traduzione di alcuni termini che pure sarebbero significativi rimane ambigua.
La tradizione Theravada generalmente ritiene che al Buddha sia stata offerta carne di maiale, mentre la tradizione Mahayana opta che il Buddha abbia consumato una specie di tartufo o altri funghi (nel cui nome compare la parola maiale poiché ritenuti apprezzati da questi animali).
Arthur Waley, un insigne orientalista inglese, scrisse un interessante breve saggio in proposito, nel quale, il verbo mi pare ben scelto, sviscera la questione analizzando svariate fonti e comparando le diverse soluzioni possibili.
Saggio che riproponiamo qui, in formato pdf, invitandovi a leggerlo con attenzione, per la densità degli argomenti.
Trovo interessante notare che,
→ quale sia il cibo consumato;
→ quale sia il valore che si voglia dare alla storicità del racconto del Mahāparinibbāna-sutta e degli altri testi che raccontano la vita e, nel caso specifico, gli ultimi giorni di Gautama;
→ quale sia l’idea che si ha del Buddha storico, ovvero un uomo, un monaco errante, un liberato, un corpo di emanazione di un Buddha trascendente (Nirmāṇakāya), che si manifesta in un dato tempo e spazio, ecc.,
gli atti della sua vita rimangono, per chi li conosce e segue, sempre ispirativi.
Egli ci ricorda come tutti gli esseri (umani e non) siano soggetti a malattia e morte, alla sofferenza fisica e mentale; eppure, da tutte queste condizioni è possibile non essere sopraffatti, mantenere lucidità, calma, non attaccamento, non paura, benevolenza, empatia e rispetto per sé e per le altre persone e cose, dimorando nella saggezza.
Gautama, fino al finale respiro del suo corpo fisico, darà consigli e incoraggiamento ai discepoli che hanno scelto di condividere i suoi insegnamenti e stile di vita.