Il breve tratto lungo il torrente Acquerta, nel Giardino Scornabecchi, è piacevole e ombroso, e conserva un ambiente appena selvaggio, una sorta di sottile striscia di bosco antico fra zone antropizzate.
Poi il sentiero che lo costeggia s’immette nuovamente sulla strada forestale, che presto diventa asfaltata, costeggiando un’ampia azienda agricola, fino a congiungersi con la strada regionale; quasi di fronte imbocco uno stradello che attraversa la località omonima.
Sono chilometri diritti e un po’ noiosi, il cui fondo facile non mi sprona: il torrente non è più in vista, gli alberi sono lontani, poi diminuiscono lasciando il posto a bassa vegetazione. Nuvolette di polvere alzate dai miei passi nascondono le ultime case sparse; a sinistra un rudere.
Raggiungo uno dei piloni della via Aurelia, qui sopraelevata. Fra gli arbusti irradiati dal sole non più alto nel cielo si apre uno stretto passaggio, che non si nota se non si cerca con volontà scopritrice.
Procedendo a zig zag fra i piloni, schivando l’acume di pruni e uno stringente fango argilloso, raggiungo il fiume Cecina. In questo punto c’è una lingua di riva, ed è proprio questo il tratto che attraverso. Il fiume scorre placidamente, ma è ampio e la corrente intensa; l’acqua sale sopra le ginocchia e sembra afferrare gli stanchi polpacci con dita liquide per trascinare il pellegrino fino alle Porte del Mare.
Pungo il fondale col bastoncino e raggiungo l’altra riva.
Dopo una seconda breve dose di pruni e fango costeggio la carreggiata opposta della via Aurelia. Uno strettissimo passaggio, in alcuni punti inesistente, divide l’opera d’innalzamento della strada da un campo. Con un corricchiare scomodo fra dura erba raggiungo una via periferica.
L’ultimo strappo in salita, fra le canne, costituisce ingresso non ufficiale in un parco.
Dalla collinetta del parco si mira l’imminente tramonto. Il sole non tarderà a tuffarsi oltre l’orizzonte.
Sono dentro l’abitato di Cecina. All’uscita del parco bevo abbondantemente alla fontanella urbana, nuovamente acqua aromatizzata al cloro. Glup! Attraverso varie strade, in direzione della ferrovia, ingegnandomi nel privilegiare i miseri tratti senza asfalto, pur lievemente suggestivi nella luce morente.
E oltrepassati i binari si distende l’ultima via sterrata. Il sole è arrivato alla sua destinazione oltre il mare poco prima di me.
Le gambe sono pesanti, ma la meta è prossima: non posso trattenermi dal correre!Quando raggiungo la pineta, sebbene siano trascorsi pochi minuti, inizia la notte. Ma la lampada frontale non occorre.
Sono giunto alla Pineta di Marina di Cecina.
È un luogo usuale; non gode, si direbbe, dell’aura esotica.
Pure diviene speciale, come visione della sacra valle fra le montagne impervie, se gli occhi della mente, aiutati dal Viaggio, sappiano scorgerla.
Ripropongo il cartello all’ingresso fotografato qualche anno fa.
Gentili lettori e lettrici, ormai lo sapete: tutto è bene quando finisce bene.
Sono stanco e soddisfatto; se pure qualche timore turbava il mio pensiero, è cessato.
Lo spirito è ora più ricco.
Cambio il vestimento impolverato e vischioso; mi concedo il ristorino appositamente depositato in una borsa termica nell’automobile. Ma l’avventura non può finire così, col dente leggero.
Perciò s’aggiunge altra tappa verso forno sollecito che avvampando ingoia e sputa: l’impasto della pizza è di farina semintegrale biologica, la farcitura di verdure con una robusta dose di peperoncino, come piace a me.
Anche il corpo è ora più ricco.
Stay tuna!