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Non ostante il fotografo

Matteo Fava, 2020

Non è stato effettivamente ostativo il pensiero dell’autore di quegli scatti anomali, nella campagna intorno a casa durante la chiusura per la pandemia.

Il fotografo sente il desiderio di cambiare, anzi, meglio, di cercare un po’ oltre il proprio orizzonte conosciuto; lo dichiara da tempo, lo manifesta talvolta con inquietudine. Non c’è scacco peggiore che avvertire il moto dell’esplorazione quando si è costretti a camminare pochi metri oltre le mura della propria casa.

Eppure la fotografia, e l’inquietudine, in queste circostanze hanno svelato abilità visive mai prima sperimentate. Su questo punto io e il fotografo siamo pienamente d’accordo. Divergono invece le nostre opinioni quando mi trovo a decantare quegli ostacoli quasi in primo piano, quella frenata prospettica come una bellissima novità a cui meriterebbe dare un vivace e prolifico benvenuto. No, non siamo d’accordo. Si è trattato di un momento, di una condizione particolare da un punto di vista atmosferico, la forzatura di dover fare di necessità virtù eccetera eccetera.

Non più abituata a occuparmi di arte per mestiere, abbandono volentieri anche il dovere raccomandato dai veterani di andare a svelare il volutamente non detto o il negato, perché, si sa, gli artisti, i creativi sono bugiardi.

Libera dall’incombenza mi godo queste fotografie che vanno a premere proprio quei miei nervi che chiedono di essere un po’ sciolti.

Apprezzo la pressione che l’orizzonte mi fa addosso obbligandomi a non disperdermi. Mi si spinge vicino senza ostacolare una visione d’insieme. Io sono allora qui davanti e altrove, vicina e lontana. Me lo dicono la siepe arruffata che taglia orizzontale tutto il primo piano, la collina alta, canne e roghi cresciuti dai fossi, la nebbia della mattina.

Ho riconosciuto a quegli scatti, non ostante il fotografo, tutta la loro generosità didascalica nel farmi percepire chiaro un limite al di qua del quale è necessario che mi posizioni con pazienza, fino al limite estremo ed esterno che è la pelle in un rimando continuo tra interiorità, spazi attigui e lontananza.

La non ostatività dell’artista non va a suo demerito; è l’arte, che, appena concepita e generata, si rende tale anche in nome di una potenzialità infinita che sta nell’osservatore.

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