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Guerra lungo il fiume Rohini

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Spiritualità

Il Buddha era tornato nella sua terra natale prima del tempo, a motivo delle tensioni e dei dissapori sorti tra il regno del clan Śakya, di cui egli faceva parte (da cui il suo titolo “Śakyamuni“, saggio Śakya), e quello del clan Koliya, che aveva dato i natali a sua madre e alla principessa Yaśodhara.

Segnava il confine il fiume Rohini, e proprio i diritti sulle sue acque erano la causa della disputa. La siccità aveva colpito entrambi i regni privandoli dell’acqua necessaria a irrigare i campi, e tutti e due gli stati volevano sbarrare il fiume con una diga per appropriarsi della poca acqua rimasta.
All’inizio la disputa non fu nient’altro che uno scambio di frasi irate da una parte e dall’altra del fiume, ma presto le passioni divampano e i contadini iniziano a prendersi a sassate.

I contadini del Koliya dicono a quelli del clan Śakya:
«Amici, se la piccola quantità d’acqua del bacino venisse divisa e condivisa da entrambi, nessuno di noi riceverebbe una quantità sufficiente per innaffiare i nostri campi. Un’ulteriore raccolta d’acqua sarebbe sufficiente per annaffiare e portare a maturazione i nostri raccolti. Vi chiediamo quindi di lasciarci utilizzare questa piccola quantità d’acqua».

I contadini di Kapilavatthu replicano così:
«Amici, non possiamo andare di porta in porta presso le vostre case portando cesti e borse piene d’oro, d’argento e di gioielli preziosi, scoraggiati in cerca di riso grezzo, mentre voi sedete tranquilli avendo empito di riso i vostri granai al massimo della loro capacità. Anche i nostri primi raccolti stanno per maturare e hanno bisogno di essere annaffiati allo stesso modo».

Allora i contadini del Koliya:
«Ci avete minacciato facendo affidamento sul clan reale di Kapilavatthu. Questi Śakya da cui dipendete si comportano come cani randagi e sciacalli della foresta, prendendo le loro sorelle come mogli. Che male possono farci i loro elefanti, cavalli e armature?».

I contadini di Kapilavatthu, con tono non meno acrimonioso:
«Ci avete minacciato facendo affidamento sui vostri piccoli lebbrosi afflitti da un’orribile lebbra. I discendenti del clan Koliya che pensate vi sostengano sono essi stessi in una misera condizione da quando sono stati banditi dalla città e vivono come animali nelle cavità degli alberi di Kola. Che male possono farci i loro elefanti, cavalli e armature?».

Vengono inviate le guardie a protezione dei contadini, e infine sulle opposte rive si schierano gli eserciti.
La disputa minaccia di trasformarsi in guerra aperta da un momento all’altro.

Interviene il Buddha. Egli vuole, prima di tutto, conoscere i motivi della disputa.

Stopping the war for waters of the river Rohini

Il Buddha interroga i comandanti dell’esercito Śakya, che accusano lǝi abitanti del Koliya di minacciare le vite e i beni della loro popolazione. Quindi interroga i comandanti dell’esercito del Koliya, che accusano il clan Śakya di minacciare le vite e i beni della loro popolazione. Poi parla con i contadini e viene a sapere che la vera causa del conflitto è la mancanza d’acqua.

Grazie ai legami con le famiglie reali Śakya e Koliya, il Buddha organizza un incontro tra il re Mahanama e il re Suppabuddha.
Li prega di accordarsi su una rapida soluzione alla crisi, in quanto una guerra avrebbe danneggiato, con perdite più o meno grandi, entrambe le parti.
«Vostre maestà» dice «che cosa è più prezioso: l’acqua o le vite umane?».
Entrambi i re convengono che le vite umane sono le più preziose.

«Vostre maestà, la disputa è nata dalla scarsità d’acqua, insufficiente per irrigare i campi. Se ira e orgoglio non fossero divampati, il problema sarebbe già risolto. Non occorre muovere guerra! Scrutate i vostri cuori. Non spargete il sangue dei vostri popoli solo per ira o per orgoglio. Placando l’ira e l’orgoglio, la tensione che minaccia la guerra si allenterà. Sedete e cercate il modo di dividere equamente l’acqua del fiume in tempi di siccità. Entrambi i paesi hanno diritto a un’uguale quantità d’acqua».

Grazie alla mediazione del Buddha, i due stati trovarono rapidamente un accordo e ristabilirono caldi e cordiali rapporti.

Quanto felicemente viviamo,
liberǝi dall’ostilità
fra coloro che sono ostili.
Tra persone ostili,
liberǝi dall’ostilità dimoriamo.

Quanto felicemente viviamo,
liberǝi dalla miseria
fra coloro che sono miserabili.
Tra gente miserabile,
liberǝi dalla miseria dimoriamo.

Quanto felicemente viviamo,
liberǝi dagli impegni
fra coloro che sono indaffaratǝi.
Tra gente in ansia,
liberǝi dagli impegni dimoriamo.

Questo episodio della vita del Buddha storico si trova (secondo le fonti da noi rinvenute) nel commento ai versi 197-199 del Dhammapada e nel capitolo 22 del Buddhavaṃsa.
Abbiamo scelto la versione che ne offre Thich Nhat Han nella sua biografia del Buddha “Old Path White Clouds” (in italiano “Vita di Siddhartha il Buddha), per la sua agilità e modernità, permettendoci di porla -nel vivo del racconto- al tempo presente e di integrarla con:

  1. per lo scambio di accuse fra i contadini, la versione del Buddhavaṃsa a cura di Mingun Sayadaw;
  2. per i versi conclusivi del Buddha, la versione del Dhammapada a cura di Ṭhānissaro Bhikkhu;

le due integrazioni sono marcate dal testo rientrato e la loro traduzione dall’inglese è nostra.

A commento di questa storia, citiamo ancora Thich Nhat Han (il maestro recentemente è morto, ma il suo insegnamento -crediamo- rimane nel cuore).

La maggior parte di noi attende che una guerra sia scoppiata, prima di mettersi a fare qualche sforzo per fermarla. Molti ignorano che le radici della guerra sono ovunque, anche nel nostro modo di pensare e di vivere.

Noi non siamo capaci di vedere la guerra quando è ancora nascosta, cominciamo a concentrare l’attenzione su di essa solo quando esplode apertamente e se ne comincia parlare in giro. Allora
ci sentiamo travoltǝi dalla sua intensità, ci sentiamo impotenti, prendiamo le parti di unǝ dǝi contendenti e ci convinciamo che quellǝ ha ragione e l’altrǝ ha torto. Condanniamo una delle due parti, ma non abbiamo alcun contributo valido da portare per mettere fine alle distruzioni che la guerra provoca.

Se sei unǝ verǝ praticante sarà tuo compito osservare in profondità la situazione per vedere la guerra prima che scoppi: occorre che cominci ad agire per fermarla prima che esploda apertamente. La tua comprensione profonda e la tua consapevolezza possono aiutare lǝi altrǝi a risvegliarsi e a sviluppare la stessa presenza mentale; allora insieme sarete in grado di agire con abilità per prevenire quella guerra.

Bombardando Belgrado, le nazioni della Nato pensavano che la violenza fosse l’unico modo per porre fine alla discriminazione razziale nell’ex Jugoslavia. Erano convinte che non si potesse fare altro; non riuscivano a vedere le radici di quella guerra, già evidenti prima che scoppiasse, e ad agire su esse, per la limitatezza della loro capacità di osservazione profonda e meditazione. Si può realizzare la pace soltanto con l’osservazione profonda che ci fa comprendere le vere radici della violenza.

Se sei unǝ bravǝ meditante avrai forse una comprensione migliore rispetto ad altre persone, quindi dovresti conoscere modi migliori per fermare la discriminazione razziale senza ricorrere alle bombe o ad altri mezzi violenti.
In ogni parte del pianeta ci sono molte guerre sul punto di scoppiare: se davvero sei unǝ costruttorǝ di pace, dovresti esserne consapevole e dovresti fare del tuo meglio, insieme alla tua comunità, per fermarle prima che esplodano con tutto il loro carico di violenza.
Se vuoi fermare interventi violenti come quelli nel Kosovo, devi poter offrire un’alternativa. Se hai una buona idea, trasmettila allǝ parlamentare o allǝ senatore che hai elettǝ e fa’ pressione perché intervenga in modo che gli avvenimenti possano prendere una piega più positiva.

Dobbiamo imparate a meditare come nazioni, non soltanto come individui, per raggiungere quel tipo di intuizione e di comprensione profonda che è in grado di fermare la guerra e la violenza.

Edgar Ende – Shrouded Figures

Soltanto una mente pacificata, libera da odio, paura, attaccamento, ignoranza
può portare la pace.
Se desideriamo pace, dovremmo prima di tutto pacificare la nostra mente.

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