Avevo udito, qua e là durante il percorso, lontani latrati che poco avevano richiamato la mia attenzione. I cani sono sensibili al passaggio, anche in lontananza da sé stessi, di altri animali; e con la loro voce canina mostrano di essersene resi sufficientemente conto.
Quando infine sto per immettermi nel sentiero principale, ecco che l’abbaiare risuona forte e vicino. Indubitabilmente troppo vicino. Mi fermo, poi procedo camminando, con accortezza. Distinguo tre diverse voci, tutte piuttosto aggressive al mio udito. Ancora un passo e vedo le basse macchie scure, confuse e tremolanti nella luce della Luna; e gli occhi (che a me paiono) cattivi, dai riflessi rossastri.
So che in quella zona si estende una grande azienda agricola; confido nella rete che la delimita. Ragionevolmente, i cani dovrebbero essere dietro la rete, la cui trama però, dal punto in cui mi trovo, non riesco a scorgere. E se fosse rotta? E se i pali non sostenessero l’impeto territoriale delle bestiole?
Tre cani da guardiania da tenere a bada da solo, senza nessun intervento possibile.
Forse dovrei tornare indietro.
Ma i cani sono addestrati e oltre a minacciarmi con fauci ardenti mi respingerebbero senza sfiorarmi.
Forse tento la sorte e passo proprio lì davanti.
Questi pensieri sorgono e trascorrono velocemente nella mente. Voi cosa avreste fatto? Mi rattrista tornare sui miei passi e rinunciare all’ascesa del monte e al percorso ad anello. Risolvo di tentare una via alternativa: so che non esiste. Ma forse posso aprirla.
Fra Ramo e Rovo
Abbandono, in seguito all’incontro raccontato ↑, per il momento il sentiero principale; e torno nel serpeggiante tratto precedente. Scruto attentamente la parete d’alberi che lo delimita. A ben guardare, il bosco non è così fitto come temevo. Mi insinuo fra gli alberi. Impossibile correre; ma presto anche camminare non è più praticabile. Occorre piuttosto adeguarsi a strisciare sotto i bassi rami, che spesso m’afferrano lo zainetto, spingendosi avanti sulle braccia -sono abbastanza allenato da riuscirci, per un po’. Fra ramo e rovo tengo d’occhio la mappa e tramite il gps vàluto la posizione: mi sto lentamente muovendo secondo un angolo speculare a quello del percorso originario. Bene. In qualche punto è possibile mettersi in piedi. Il bosco è silenzioso. Mi piego ancora e avanzo. Considero che per percorrere un paio di centinaia di metri occorrerà lungo tempo.
Quand’ecco che scorgo un tratto aperto! Non segnato sulle mappe. Ho raggiunto infatti un sentierino di caccia comodamente percorribile. Sono certo che mi condurrà sulla dorsale, ma lo imbocco sùbito nella direzione opposta, per constatare l’altro punto dove si innesta; e appongo un segnalino sulla mappa: d’ora in poi quello sarà il mio percorso.
Il sentierino di caccia, come spiegato ↑, permette di raggiungere la dorsale poco più avanti rispetto al percorso inizialmente tracciato. In un passo sono nel vasto spazio aperto. Voci di cani in lontananza. E non posso che fermarmi ad ammirare nuovamente la Luna: le nubi si sono addensate, ma ancora non tanto fitte da impedirne la visione. La luce impreziosisce psichedelicamente l’ampio sentiero fangoso.Mi concedo uno spuntino di barretta e banana, e un altro sorso d’acqua.
Dopo breve tratto lascio la dorsale per un nuovo sentiero incorniciato dalla vegetazione. Non è segnato sulle mappe, ma so che prosegue aspro fino a sbucare sulle coste rocciose da cui più oltre si innalza monte Pelato. Non è in programma seguire il sentiero ufficiale, considerato eccessivamente lineare.
Ancora, è come uscire da una stretta galleria: il sentiero improvvisamente si riaffaccia al cielo. In questa fotografia sto guardando indietro.
Quella Luna che riesce a trapassare la coltre nuvolosa si riflette sulle chiome, rallegrandomi.
Risalgo le coste; vi sono molti punti brulli, privi di vegetazione, che permettono un ripido passaggio.
Monte Pelato finalmente visibile all’occhio.
L’ultima salita!
E la visione dal monte. La luce d’argento della Luna, sempre filtrata dalle nubi, illumina tenuamente il mare, punteggiato dalle lampade di imbarcazioni, vicine e lontane. Il mio cuore è felice. Recito nelle sette direzioni alcuni mantra di tradizione buddista. Mi piace pensare che il vento leggero, spirante, li espanda per i boschi e fra gli esseri che lì vivono, in ringraziamento per l’ospitalità.Per ascendere a e discendere da monte Pelato si può fruire del sentiero principale (quello appunto non percorso) e di due sentieri secondari, quello da cui sono giunto e l’altro, che mi diletto nel definire “la direttissima”. Niente fotografie, ma è ripidissimo, esageratamente stretto, sdrucciolevole. Così riprendo a giocare: attivo una coppia di cassettine audio (viva la stereofonia) e, nell’euritmia di musica travolgente, mi precipito giù quanto più velocemente possibile per le mie gambe, saltando e afferrandomi ai pochi arbusti che generosamente tendono braccia di legno.
Dopo la direttissima e qualche curva di collegamento, mi incanalo nel sentiero di Sir Robert. Tutta discesa fino alla fine, con la possibilità di sfruttare qualche pedana colà fissata a terra (a uso prevalentemente ciclistico) per compiere balzi. La musica incalzante mi spinge a mantenere un’andatura celere.
Avevo lasciato in automobile un piacevole ristoro: sia mai l’arrivare cupamente privo di cibarie e bevande (sì, non è visibile, ma c’è anche una birra). Appare forse come un desco più consono a un pranzetto estivo che alla cenetta invernale, ma -si sa- non ci sono più le stagioni (né mezze, né intere: la Terra brucia).
La Luna è molto alta nel cielo, ora. Le nubi formano un tetto grigio nero dalla volta a cupola.
La Luna come occhio mistico, che osserva e saluta.