Nel codice di condotta monastica del buddismo (MBC), contenuto nel prātimokṣa (pali patimokkha), a sua volta cuore della raccolta chiamata Vinaya, verso la fine del testo principale viene descritto un insieme di strategie e modalità per favorire la riconciliazione; sono sette azioni appunto dette, in sanscrito, Saptadhikarana-samatha.
La natura umana infatti è instabile; la mente si confonde e perde con facilità. Così è sempre possibile -e gli antichi testi, come il Suttavibhanga del Vinaya, lo documentano- che sorgano dispute anche fra monaci/monache, proprio coloro che hanno scelto una via di consapevolezza e pace.
Ritengo che queste indicazioni offrano un approccio interessante e attuale, da valutare anche per le controversie in àmbito laico fra gruppi contrapposti, organizzazioni contendenti, stati in conflitto tra loro.
E mi piace l’espressione coprire il fango con la paglia (per non sporcarsi i piedi, al tempo privi di calzature).
Thich Nhat Han, un caro maestro vietnamita recentemente scomparso continuato (certamente in un’altra forma), le propone in due differenti esposizioni.
- Nel volume divulgativo “Old Path White Clouds” (una possibile biografia del Buddha storico sulle base degli antichi testi di Nikaya e Agama), pur rimanendo ancorato alla tradizione, egli reinterpreta gli antichi precetti in una forma fruibile e affascinante per la comunità laica.
- Invece in “Freedom wherever we go” (il cui sottotitolo è “un codice monastico buddista per il 21° secolo”) l’aggiornamento -definiamolo così- conferma le sette pratiche nel modo dei testi più antichi; l’utenza di riferimento è chiaramente la comunità monastica. Anche il linguaggio usato è quello tradizionale; occorre tenere presente che questi testi sono (o dovrebbero essere) recitati a voce dalla comunità monastica.
Il testo seguente riporta i 7 precetti nelle due versioni citate, distribuiti parallelamente su due colonne (la traduzione a destra è nostra -perdonate gli errori).
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Da Old Path White Clouds ↓ |
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↓ Da Freedom wherever we go
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1
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La prima pratica è detta sammukha-vinaya, “star sedutǝ a faccia a faccia”. La disputa deve essere esposta davanti all’intera comunità, in presenza di entrambe le parti in causa. Lo scopo è dissuadere da discussioni private che hanno inevitabilmente l’effetto di influenzare e di far parteggiare per l’una o l’altra fazione, accrescendo la tensione e la discordia. |
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Se è necessario un incontro dell’intera comunità, alla presenza delle persone coinvolte nella controversia, in modo che queste possano parlare dell’ingiustizia e della sofferenza che hanno vissuto, e durante questo incontro la comunità sia in grado di praticare un ascolto profondo e compassionevole, al fine di alleviare la sofferenza di entrambe le parti, che tale incontro sia convocato per risolvere la controversia.
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2 |
La seconda è detta smṛti-vinaya, “ricostruzione dei fatti”. Le parti si sforzano di ricostruire dall’inizio le cause della disputa. Si cerca di far luce sui minimi particolari. Quando vi siano, vengono presentate prove e testimonianze. La comunità ascolta in silenzio e attenzione per raccogliere tutti i dati utili alla comprensione della disputa.
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Se è necessario un incontro per incoraggiare le persone coinvolte nella controversia a ricordare e raccontare ciò che hanno visto, udito e pensato al riguardo, nello spirito di un ascolto profondo e un parlare amorevole, che tale incontro sia convocato…
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3 |
La terza è detta amūḍha-vinaya (pali amūlha-), “non ostinazione”. Si suppone la buona volontà delle parti di risolvere il conflitto, e la comunità si aspetta che entrambi i contendenti diano prova di ricercare la riconciliazione. L’ostinazione è da considerarsi negativa e controproducente. Se una parte ammette di avere violato un precetto per ignoranza o in un momento di agitazione mentale, senza intenzione di trasgredire, la comunità ne tiene conto in vista di una soluzione equa per entrambe.
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Se è necessario un incontro per stabilire che le persone coinvolte nella controversia stessero attraversando in quel momento crisi o malattia mentale e non fossero consapevoli delle difficoltà che causavano e della sofferenza che infliggevano ad altre persone, e ora che la crisi è superata non riescono a ricordare chiaramente quel che era accaduto, che tale incontro sia convocato… |
4 |
La quarta è detta tatsvabhasiya-vinaya, ‘confessione spontanea’. Le parti vengono incoraggiate ad ammettere la propria trasgressione senza bisogno di esservi spinte dal contendente o dalla comunità. La comunità concede tutto il tempo per dichiarare le proprie colpe, per minime che siano. L’ammissione spontanea è un grande passo verso la riconciliazione e incoraggia la parte avversa a fare altrettanto. |
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Se è necessario un incontro per dare alle persone coinvolte nella controversia un’opportunità per comprendere e riconoscere la propria incapacità e mancanza di consapevolezza, e quelle persone riconoscano la propria incapacità e mancanza di consapevolezza, quindi si rammarichino usando parole amorevoli, poi siano incoraggiate a fare lo stesso anche le altre persone coinvolte, contribuendo così a ridurre il conflitto, che tale incontro sia convocato…
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5 |
La quinta è detta yadbhuyasikiya-vinaya, “decisione unanime”. Sentite le due parti ed essendo palese la volontà dei contendenti di giungere a un accordo, la comunità emette un verdetto unanime. |
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Se è necessario un incontro per nominare un comitato che indaghi e studi cause e natura della controversia, e dopo aver indagato questo comitato presenti un rapporto alla comunità, in modo che le persone coinvolte ne traggano aiuto per risolvere la controversia, che tale incontro sia convocato…
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6 |
La sesta è detta pratijñakaraka-vinaya, “accettazione del verdetto”. Il verdetto, jñapticaturthin-karmavacana, viene pronunciato tre volte ad alta voce. Se nessunǝ protesta, è considerato vincolante. Le parti non hanno il diritto di opporsi, in quanto dichiarano di riporre fiducia nella decisione della comunità e di accettarne il verdetto, qualunque esso sia.
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Se è necessario un incontro per risolvere la controversia a maggioranza, poiché essa è rimasta troppo a lungo irrisolta, e dopo il voto la decisione presa sia inappellabile, così che la controversia non venga più sollevata, che tale incontro sia convocato…
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7 |
La settima pratica è detta tṛnastaraka-vinaya, “coprire il fango con la paglia”. Nella riunione, un monaco anziano è delegato a rappresentare ciascuna delle due parti. Vengono scelti due monaci di grande levatura, che godono del rispetto del sangha. Essi ascoltano con attenzione e senza intervenire, quindi esprimono la propria alta opinione, pronunciando parole capaci di lenire e guarire le ferite, di indurre la riconciliazione e il perdono, così come, stendendo sul fango della paglia, si può passare senza insudiciarsi gli abiti. La presenza di tali monaci anziani fa sì che le parti accantonino più agevolmente i meschini interessi, che le amarezze vengano addolcite e la comunità possa esprimere un verdetto equo per entrambi i contendenti. |
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Se per risolvere la controversia è necessario un incontro alla presenza delle persone anziane più rispettate fra la comunità, e in questo incontro tale gruppo dichiari un’amnistia generale, incoraggiando tutte le altre persone a usare la loro compassione per porre fine al risentimento, come gettare paglia sul fango, che tale incontro sia convocato per risolvere la controversia. |
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