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LuMaC VII – il Racconto

image: LuMaC VII, sentiero

La giornata di primavera
indugia
nelle pozzanghere.

-Kobayashi Issa-

Lasciato Collemontanino ci addentriamo di nuovo nel profondo bosco. Dopo una discreta salita e una piú ripida discesa, il percorso segue il torrente La Fine. Spesso si corre dentro il torrente, saltellando, ove possibile, da una pietra all’altra. Pur avendo portata minore rispetto alla Tora, anche La Fine crea cascate e pozze assai suggestive, immerse in un bosco fitto e alto.

In corrispondenza, all’incirca, della “grotta di Bernardo“, si lascia il torrente per risalire verso le cime dei poggi. L’ascesa per sentieri selvaggi è lunga e laboriosa.

Dopo molti altri sentieri e chilometri, inframezzati da una sosta presso fonte del Tiglio (che con un rivolo d’acqua, pur fresca e saporita, di nuovo gioiosamente abbevera chi attraversa quel tratto di bosco), siamo in prossimità di monte Vaso: è il caratteristico panettoncino grigio-verde a sinistra del sentiero. Lo strettissimo single track che scende verso la strada.

Qui, in un cassonetto, depositiamo un’altra raccolta di rifiuti. Plastica e piombo si trovano ovunque nei boschi, anche nei tratti -apparentemente- di difficile raggiungibilità.

Dopo monte Vaso, ci appropinquiamo a monte Vitalba. Lungo un sentiero appena accennato se ne trova anche indicazione.

Monte Vitalba visto dal basso, ospitante alte pale eoliche. Il pensiero della prossima salita non è incoraggiante.

Il petroso cammino che ascende verso la prima vetta, detta Sassi Bianchi (un toponimo qui piuttosto diffuso). Monte Vitalba, pur non essendo alto in assoluto (poco meno di 700m) è il punto maggiormente elevato nella zona e nel percorso del LuMaC. Piú avanti, una via segreta nel bosco permette di raggiungere il Balcone del Vitalba, dall’ampio panorama, evitando completamente la strada di servizio.

E poi scendiamo vertiginosamente verso un’altra fontana, la fonte dell’Agrifoglio, a poca distanza dall’abitato di Castellina Marittima.

Dopo un altro lungo tratto di sentieri ora comodi ora impegnativi, con salite ripide ma non lunghe e piú discese (ormai stiamo calando verso la costa), siamo nel giardino Scornabecchi. Anche qui seguiamo un torrente, l’Aquerta.Dopo tante ore su e giú attraverso boschi e sentieri la stanchezza inizia a manifestarsi, e pure il mal di piedi; sebbene l’acqua erta fluisca pigramente, possiamo rinfrescarci e cosí accelerare un po’ il passo percorrendo lo stradello piano e diritto come un nastro verso il fiume Cecina.

E frenare bruscamente qui! Per raggiungere il guado occorre farsi strada accortamente fra la bassa e spinosa vegetazione, le canne, il fango.

Ecco il punto in cui si attraversa. L’acqua arriva sopra le ginocchia, la corrente sospinge verso il mare, ma con un po’ d’accortezza si riesce a passare. A me quest’albero caduto ricorda vagamente un alligatore con le fauci spalancate.

Attraversato il fiume occorre arrampicarsi sui massi, poi girare intorno al robusto pilone.

Per ritrovarsi ancora in uno strettissimo passaggio, da allargare con pazienza e amore a colpi di bastoncino.

L’ultima salitella tra filari di vite, all’estremità di un parco a Cecina. Basso nel cielo il sole lancia il suo raggio vittorioso.

Purtroppo l’avventura si conclude a poca distanza dall’arrivo previsto sul mare. Per fruire dell’ultima corsa della corriera (sulla base degli orari invernali) e garantirci il ritorno non fu possibile raggiungere la scogliera e bagnare la fronte nell’acqua salata.
È per questo che, forse, eccezionalmente, ci riproveremo a settembre. Seguiteci!

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